Io sono Lillo, la miniserie di Prime Video

Io Sono Lillo Amazon Prime Video poster promozionale

Allora. La serie Io sono Lillo potrebbe essere derubricata a scampagnata goliardico-zingaresca e togliersi così il dente. Se uno ha voglia di passare quattro ore scarse in compagnia di Pasquale Petrolo e gli amici suoi è libero di farlo e bla bla bla.

Poi però a ben guardare c’è più di un motivo per dare un’occhiata qui dentro e trovarci cose buone.

Le cose buone in Io sono Lillo

Innanzitutto c’è un’idea di fondo (quasi alleniana… citato anche laddove non te lo aspetti, con il suo Danny Rose) che non sempre è presente nelle produzioni italiane. Con questo intendo in generale. Esse spesso gironzolano fra i personaggi e sviluppano una trama che finisce in se stessa. Niente di male, si badi bene.

Qui il tutto prende le mosse dalla presa di coscienza, da parte di un attore, di non essere più sé ma di venir riconosciuto in quanto personaggio. Lillo è Posaman, e Posaman se ne frega.

Tanto da soverchiare il proprio creatore in ogni luogo in cui egli si trovi: con la moglie, al lavoro, nelle serate eleganti, in famiglia. E questa sovrapposizione pone più di un problema al protagonista, incapace di riconoscersi, ed essere riconosciuto, in quanto essere umano, fuori dalla maschera. “Posaman non si tocca” detto a chi Posaman lo sta mettendo in scena è forse lo snodo del dramma. Lillo non può togliersi la maschera della sua creatura pena il perdere la propria identità e il proprio posto nel mondo.

Ma è proprio la maschera a impedirgli di vivere la vita che lui (crede di voler) vorrebbe vivere.

La moglie fugge, la madre lo considera un inetto, il fratello e il manager lo sfruttano. Fino alla catarsi, preceduta dalla scena dell’agguato risolto da Posaman/Lillo in una confusione di ruoli e presenze anche in inquadro. Non starei poi a ragionare sul fatto che è il supereroe a risolvere parte della situazione ed è poi Lillo a far rientrare il tutto nel dramma: ribaltamento di ruoli definitivo ma in qualche modo atteso.

C’è poi una messe di personaggi di contorno che appaiono, dando peso e corpo alla messa in scena. Dai cabarettisti (non sempre centrati e poi, per me, rimangono i grandi misteri Lundini e Giroud, che però sarò io a non cogliere la loro grande maestria comica) agli amici giocatori di ruolo. Fino all’apparizione strabiliante di Guzzanti (ma dai?!), che si inventa il nuovo personaggio dell’artista tedesco concettual-ambientalista, che conclude la sequenza al museo con il più classico degli equivoci (fa una performance o sta soffocando davvero?).

E poi c’è una bella attenzione agli spazi e ai movimenti di macchina (in un paio di occasioni Puglielli, non l’ultimo dei pistola eh, mette lì un carrello a seguire con panoramica, che è una gioia), e viene dato il giusto tempo alle gag, che spesso traggono beneficio dalla reiterazione del tormentone (mai però eccessivo) o dall’essere riconoscibili come omaggi (la parte di puntata che si rifà a “Notte da Leoni” è straordinaria).

Quindi per me è un si, senza tanti se e ma. Anzi: fatevi un favore.

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