I nostri figli in rete hanno diritto all’oblio digitale

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I nostri figli hanno diritto all’oblio digitale. E’ quindi nostro dovere garantirglielo.

I riferimenti nel testo sono al 2016, anno in cui fu scritto il post.
Il nocciolo della questione non cambia, e ogni giorno offre esempi di ciò.

Cos’è il diritto all’oblio

In giurisprudenza questo diritto all’oblio si può definire come quella forma di garanzia che “prevede la non diffondibilità, senza particolari motivi, di precedenti pregiudizievoli dell’onore di una persona” (fonte Wikipedia). Se uno poi fosse interessato alla questione in modo ancor più preciso, dal punto di vista legislativo, può visitare la pagina online dedicata al tema dal Garante della Privacy.

Le cronache degli ultimi giorni estivi del 2016 hanno riportato tragiche vicende in cui questo diritto non solo è stato ignorato, ma addirittura calpestato e gettato alle ortiche.

C’è stata la vicenda di Diletta Leotta (fonte Ansa), ma anche la storia di Tiziana Cantone (fonte Il Post), oppure quella della ragazzina violentata nel gabinetto di una discoteca mentre una sua amica faceva la riprese con lo smartphone da sopra la porta (fonte Romagnanoi), o anche quella dello studente il cui padre, tutto tronfio, ha scritto ai professori una lettera per avvisarli sui mancati compiti delle vacanze (fonte il Post)

Tempi in cui si è se si condividono o commentano contenuti

Sono le vittime di un uso sconsiderato e incosciente della rete e degli strumenti di comunicazione che il digitale ci fornisce. Vittime dei tempi: egocentrici, caciaroni e narcisisti.

Sono storie tanto diverse quanto simili, fra di loro. Persone che hanno subìto il “petto gonfio” di chi era con loro e di chi li circondava, tutti presi dal fuoco sacro dell’internet 2.0, che ti costringe a condividere ogni cosa e a dir la tua su qualsiasi argomento. Possibilmente prendendo in giro il malcapitato di turno, tanto tocca a tutti prima o poi.

E se ci pensiamo bene queste storie non sono poi tanto diverse da quelle, al momento meno cruente, di quei bambini che non hanno ancora diritto a un profilo facebook e si troveranno la propria foto pubblicata da madri orgogliose, padri felici, nonni entusiasti.

Le foto in rete sono pericolose. Per tutti.

Qualsiasi cosa si metta sui propri profili, nelle proprie pagine o nei propri commenti è una potenziale bomba a orologeria, che può scoppiare da un momento all’altro.

Foto o video imbarazzanti sono simpatici a “Paperissima”, ma non lo sono nel momento in cui la vita ti chiede il conto di quanto mostrato: cosa facevi ubriaco fradicio sulla finestra dell’albergo in mutande? Perché giocherelli col cellulare mentre il ministro degli esteri ti parla? Quando è successo che ti eri vestito da gerarca nazista per festeggiare Halloween?

La storia di Jacopo Lanza, il “ragazzo comunista di Facebook”

Può succedere addirittura di diventare il protagonista, proprio malgrado, di un meme a causa di una foto postata tempo prima. Magari da qualcun altro, a tua insaputa. È il caso di Jacopo Lanza (qui per leggere l’intervista al Corriere on line), la cui storia parte da questa fotografia.

Immagine innocua, come se ne vedono tante, di un giovane che manifesta, bandiera in spalla. Poteva essere chiunque e con qualsiasi bandiera. Questa foto, scattata al Lanza anni prima, diventa la base per il montaggio di questo meme.

Ovviamente Jacopo Lanza, dal giorno di quella foto, è cresciuto. Non ci importa se le sue idee si siano radicalizzate “a sinistra” o abbia cambiato colore alla bandiera. Ci importa che un’innocente immagine scattata in un’assolata giornata estiva a un ragazzino (presumibilmente minorenne) sia diventata uno sfottò. E da questo momento, nella mente di chiunque abbia incontrato questa immagine e incontri lui (ripeto, divenuto magari sostenitore della Lega o semplicemente un bancario e affettuoso genitore), è facile che emerga il collegamento: ah, il ragazzo comunista di Facebook!

Ottima idea il profilo digitale dormiente!

Tempo fa mi capitò di leggere di un papà che, preoccupato di quanto potesse circolare su sua figlia prima del suo essere “ragionevolmente presente in rete”, aveva creato una sorta di cintura digitale protettiva. Nessuna foto su profili facebook di parenti e amici, nessun accenno a lei su forum o blog, etc. Le aveva, però, creato un profilo digitale dormiente al quale avrebbe avuto accesso al momento giusto: sito, e-mail, social, etc.

Mi parve un’ottima idea. E mi pare tutt’ora. Non perché internet sia una cosa “cattiva” o pericolosa, ma perché internet è profonda come il mare e non sai chi ti possa capitare di incontrare, nuotandoci dentro.

Bambine e bambini gettati nel mare di internet… senza rete.

Ci sono persone che frequentano innumerevoli chat su Whatsapp che offrono a tutti le immagini dei propri figli in ogni situazione, senza pensare che di là dallo schermo dello smartphone potrebbe esserci chiunque: il lupo cattivo, l’uomo nero, l’amica del cuore o uno che prende la foto e la manda nel deep web.
È non è solo questione di inoltrare foto in chat, è l’immagine stessa con cui ci si presenta su questa chat a poter essere visualizzata, salvata sul cellulare e inoltrata, a insaputa del proprietario, a contatti altri.

Una foto innocente, utilizzata come profilo personale su un social in cui crediamo di essere protetti può, in un attimo, diventare un meme o passare di mano in mano, fuori dal nostro controllo.

Ci sono profili Facebook che grondano di bambini in costume da bagno, bambini al mare, bambini con le dita nel naso, bambini che vincono premi in un crescendo rossiniano di immagini di gente che non vorrebbe essere su Facebook perché non sa neppure cosa sia Facebook e che fra qualche anno, quando lo saprà, si troverà una vita digitale che non può più controllare e con cui dovrà necessariamente fare i conti. Esattamente come Jacopo Lanza, “ragazzo comunista di Facebook” a sua insaputa.

Una cascata di ricordi che piomba addosso al malcapitato, rendendolo improvvisamente conscio di una vita che si vorrebbe, perché no, solo privata.

Ognuno scelga l’immagine di sé che vuole dare al mondo.

Troppo apocalittico? Può essere, ma è un attimo trovarsi di fronte a un’immagine di sé che non si sarebbe voluto dare e che altri hanno deciso per te di divulgare.

I bambini sono tanto carini, in fotografia. Come lo sono i cagnolini, i gattini, i pesciolini.

Ma occorre prestare un’attenzione altissima a che tipo di messaggio stiamo divulgando, a cosa stiamo condividendo e con chi. E soprattutto pensare all’effetto che farebbe su di noi una foto del genere se ci riguardasse direttamente.

Sui social vedo immagini o video che non vorrei vedere circolare

Mi capita spesso di vedere immagini o video che non vorrei circolassero nel mio Facebook, ad esempio: animali maltrattati, bambini in guerra, bufale. Non vorrei ma li vedo. Perché i miei contatti condividono, pubblicano.

Oppure perché Facebook decide che io potrei essere interessato a quel tipo di contenuti lì, anche se ripetutamente chiedo di non mostrarmeli. Contenuti che vengono da lontano, che fanno un giro turistico enorme e cascano di fronte a me. Contenuti che, magari, chi ha pubblicato non voleva arrivassero a nessuno, per mille e uno motivi.

Insomma:

  • Siamo sicuri che le foto che pubblichiamo arrivino solo alle persone che decidiamo noi?
  • Siamo sicuri che le foto che pubblichiamo vengano usate per gli scopi innocenti che abbiamo immaginato noi?
  • Siamo sicuri che le foto che pubblichiamo ora dei nostri figli non diventeranno un boomerang che abbiamo lanciato oggi e arriverà loro addosso, in un momento in cui non saranno pronti a riceverlo?

Lo accettate un consiglio, da uno sconosciuto?

Per certe cose restate senza rete.

Le foto dei vostri figli stampatele e portatele in giro nel portafoglio. Su facebook, pubblicate pesci rossi.

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