È giusto che i bambini si avvicinino alla tecnologia?

A ogni nuovo cambio d’epoca ci si pone una questione gravida di risvolti sociali, pedagogici e culturali: è giusto che i bambini abbiano accesso alle nuove tecnologie? A costo di attirarmi le ire di tradizionalisti e apocalittici io rispondo di si. E pongo subito l’attenzione sul titolo di questo mio piccolo intervento. Non è la tecnologia che deve andare ai bambini, imposta e accolta come un oggetto che diventi parte della giornata senza averne il minimo controllo. Sono i bambini che devono poter andare alla tecnologia, avvicinarsi senza paura e soggezione, impararne i meccanismi e cominciare a controllarli.

Nativi digitali per nascita (non per scelta)

Questo è importante, se non addirittura fondamentale, per consegnare alle generazioni le chiavi d’accesso al loro futuro. I bambini nati dopo il 1991 sono “nativi digitali” ma per poter maneggiare senza ferirsi ciò che possiedono per nascita vanno educati all’uso. E non è nascondendogliela, la tecnologia, che gli si insegna a usarla con cognizione di causa. Anzi, si crea in loro una curiosità che rischia di sfociare o nella fobia (oddio il tablet, non lo userò mai…), nell’attrazione senza freni (smartphone sempre acceso, qui non prende il wifi sarà una vacanza bruttissima, etc) o in un uso profano, che provoca più danni che benefici.

I cosiddetti “duemila” o “millennial”, cioè coloro che sono nati negli anni 00 (o a cavallo del cambio di millennio), a mio parere non possono non avere a che fare con gli strumenti a cui tutti abbiamo accesso. Pensare il contrario sarebbe come tornare indietro di 100 anni e non dare ai ragazzini una penna e un calamaio per imparare a scrivere, non permettere a uno nato negli anni ’70 di vedere la tv a colori perché “fino ad adesso l’hai vista in bianco e nero” o non fargli prendere la patente a 18 anni perché “quando ero giovane io la macchina l’aveva solo il farmacista”. Ogni stagione ha avuto la sua novità e, sapientemente, è stato concesso alle nuove generazioni di approfittarne per poter crescere con quanta più consapevolezza su ciò che il futuro gli avrebbe riservato.

Ogni novità ha il suo tempo (ma con giudizio)

È chiaro che non sto suggerendo di piantare un seienne davanti a un computer pretendendo che cominci a compitare codici per 13 ore consecutive. Così come non penso che sia giusto sbattere un tablet davanti alla faccia di uno di 8 anni per farlo mangiare in silenzio o di rifornire l’undicenne con l’ultimo smartphone uscito e imbottirlo di giga per navigare online. Senza controllo. Perché non penso che negli anni ’10 del secolo scorso, a meno di non essere stato un personaggio del libro “Cuore”, nessuno sia stato messo nelle condizioni di scrivere per 12 ore di seguito a lume di una candela e non ricordo di aver guidato per giorni interi, da solo, col foglio rosa prima di prendere la patente.

Le cose nuove vanno usate, e fatte usare, con intelligenza e senza paura. La tecnologia non uccide la fantasia, a meno che non diventi l’unico compagno di giochi del pargolo. La tecnologia può allargare gli orizzonti, insegnare nuovi sistemi di creatività. Deve diventare uno degli strumenti a disposizione per diventare grandi.

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