Il Tempo Gigante e le altre meraviglie della Caprino film

Questa intervista, a cui tengo in modo particolare, uscì nel gennaio del 2008 su sabatoseraonline.it. Ci tengo perché fu il risultato di una lunga serie di mail, telefonate, sms e invii postali, nei quali ricevetti i dvd della casa di produzione norvegese a mo’ d’esempio della loro arte (mi mandarono anche alcuni pupazzi di gomma che furono distribuiti fra la redazione). Al loro film più noto, Il Tempo Gigante, voglio molto bene, anche se ha un ritmo e uno svolgimento a cui non siamo abituati. Lo mostrai a Margherita, quando era molto piccola, e le piacque. Tanto da volerlo rivedere a rotazione. Anche se in norvegese!
Pinchcliffe_Grand_PrixQuello del cinema è un mondo strano e pieno di sorprese. Quando uno è convinto di aver già visto o sentito tutto il possibile salta fuori un fatto curioso che attira l’attenzione e spinge a volerne sapere di più, aprendo così orizzonti colorati ed inattesi. Tutto questo è successo con la scoperta che in Norvegia ha vissuto e ha lavorato un cineasta di film d’animazione che aveva origini italiane. Il suo nome era Ivo Caprino e con i suoi pupazzi e i suoi cortometraggi ha incantato generazioni di scandinavi e oggi la sua casa di produzione, diretta dal figlio Remo, continua il suo lavoro. Caprino esordì quasi trentenne nel cinema d’animazione: nel 1949 produsse un cortometraggio di 8 minuti, Tim og Toffe in cui si muovevano pupazzi che aveva costruito assieme alla madre. A questo seguirono altri film in cui il regista e animatore sviluppò in modo sempre più preciso e straordinario la sua tecnica di movimento dei pupazzi, che sembravano spinti da una forza magica. In Norvegia, sua terra adottiva, i film della Caprino Studio sono fra i più noti di ogni tempo mentre in Italia, sua terra natale, non solo sono sconosciuti ma sembra che il mercato sia impermeabile a qualsiasi tentativo di penetrazione. “La nostra ambizione – ci ha detto Remo Caprino –, è quella di far conoscere i lavori di mio padre all’estero. Mi piacerebbe molto che in Italia i film di Ivo Caprino fossero noti ed apprezzati come lo sono in Norvegia. Trovo che sia molto triste il fatto che i nostri film, a tutt’oggi, non siano ancora stati doppiati in italiano”.

Parliamo un po’ della sua famiglia. Ricorda le sue radici italiane?

I Caprino sono di origini sarde, per la precisione la nostra era una famiglia contadina del sassarese. Il mio nonno si chiamava Mario ed era il figlio di Sebastiano Caprino, che studiò da avvocato per poi diventare giudice a Roma. Mio nonno Mario, che era nato nel 1881, conobbe mia nonna Ingeborg a Roma. Lei era la figlia di Ove Gude, che a quel tempo era l’ambasciatore norvegese in Italia, ed era nipote di Hans Fredrik Gude, un pittore molto noto in Norvegia. La famiglia di mia nonna era di origini tedesche e arrivò in Norvegia nell’ultima parte del diciassettesimo secolo. I miei nonni si sposarono nel 1912 ed ebbero Ivo, mio padre, nel 1920, quando ancora abitavano a Roma. Due anni dopo si trasferirono in Norvegia. Ivo sposò Liv Helene Bredal, un’attrice cinematografica, nel 1942 e io nacqui due anni dopo. Io sono sposato con Anna Catharina Wessel, che è avvocato, e ho due figli che si chiamano Catharina e Mario. Mia figlia lavora come fotografa a New York mentre Mario lavora con me nei nostri nuovi Caprino Studios.

Suo padre aveva mantenuto qualche contatto con l’Italia?

Mio padre non aveva molti contatti in Italia. Verso la fine degli anni sessanta, però, accadde un fatto curioso. Durante una visita ufficiale in Norvegia di Antonio Segni, che era capo dello Stato in quel periodo, scoprimmo che le nostre famiglie avevano una relazione di parentela. Da allora siamo tornati qualche volta a visitare le nostre vecchie proprietà in Sardegna e a me è capitato, in un paio di occasioni, di far visita al presidente e alla famiglia al Quirinale. L’ultima volta che ci siamo incontrati fu una settimana prima che morisse. Da allora ho incontrato diverse volte suo figlio Mario e sua moglie Vicky, con i quali siamo diventati amici.

Come entrò, suo padre, nel mondo del cinema?

Mia nonna era pittrice e scultrice, mio nonno dipingeva e commerciava in arte. Per lui fu quasi naturale diventare un artista. L’incontro con mia madre, che a quei tempi era attrice, gli permise di entrare in contatto con il mondo del cinema e a farlo innamorare della settima arte.

Ci può parlare delle tecniche utilizzate da Ivo Caprino per i suoi film?

La sua idea era di combinare riprese dal vivo con pupazzi animati. Per cominciare a produrre i suoi film brevettò un sistema speciale per poter riprendere il movimento dei suoi pupazzi come se fossero attori reali. I movimenti venivano ripresi a 24 fotogrammi al secondo e i pupazzi si muovevano come per magia. Più tardi capì che il sistema limitava molto la sua voglia di migliorare l’espressività dei suoi personaggi e dei loro movimenti, così cominciò ad utilizzare la tecnica dello stop motion e divenne, se mi è concesso dirlo, uno dei migliori. Il suo desiderio maggiore era quello di dare un’anima ai suoi personaggi, voleva che il pubblico pensasse ai pupazzi come ad esseri viventi.

Nei film di Ivo Caprino, dai trailer che si trovano sul vostro sito, si percepisce forte l’atmosfera della terra in cui viveva. Può spiegarci a quali fonti di ispirazione suo padre faceva riferimento?

Mio padre amava molto la Norvegia e trovava una grossa fonte di immagini e storie nel folklore della sua terra. Uno dei suoi sogni mai realizzati, era quello di creare un lungometraggio su queste storie, che mischiasse attori in carne e ossa ai suoi pupazzi animati. Provò diverse volte a chiedere i finanziamenti necessari al governo, ma non ottenne mai una risposta positiva, con suo grande rammarico.

Ma il mercato reagiva bene ai suoi film.

Il mercato interno reagiva benissimo. In tutta la Scandinavia non credo ci sia qualcuno che non conosca mio padre e The Pinchcliff Grand prix è uno dei nostri campioni di incasso di tutti i tempi. Ma la Norvegia ha un pubblico di circa quattro milioni di persone, che sono molto poche se si vogliono raccogliere abbastanza fondi per “attaccare” il mercato straniero.

Suo padre faceva parte del “giro” degli animatori?

Ivo conosceva di fama i suoi colleghi ma è sempre stato per conto suo qui in Norvegia e non ha mai realmente preso parte al giro dell’animazione internazionale. Alla fine degli anni ’50, però, dopo che aveva vinto il Festival del Cinema dei Bambini di Venezia del 1952, con il suo film The little Frick and the fiddle, la Disney cercò di acquistare i nostri Studios. Fortunatamente mio padre rinunciò all’affare.

Quindi la vostra famiglia è “naturalmente” votata al cinema.

Io ho cominciato a lavorare negli Studios di mio padre quando avevo diciotto anni, appena finita la scuola. Fin dal 1963 ho lavorato a tutti i nostri film, inclusa la serie dedicata a Pinchcliffe, dei quali sono stato produttore, assistente alla regia e co-sceneggiatore con mio padre, Kjell Aukrust e Kjell Syversen. E’ stata un’esperienza di vita fondamentale e tutto il suo lavoro ha avuto un impatto enorme su di me. Oggi lavoriamo con la computer grafica ma tentiamo in tutti i modi di mantenere quel Caprino Look inconfondibile che lui otteneva grazie alla Stop Motion. E il nostro motto è sempre lo stesso: Famiglia, Qualità, Non Violenza.

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