Parkes sulle ali dell’aquila

Parkes, Australia

radiotelescopio di Parkes(Pubblicato per la prima volta il 29 giugno 2009 su sabatoseraonline.it)

Lo sbarco sulla luna del 20 luglio 1969 non fu soltanto “un grande passo per l’umanità”. Quell’avvenimento epocale fu anche una delle più colossali, complicate e “hollywoodiane” riprese in diretta tv della storia. Seicento milioni di persone quella notte la passarono con “il naso all’insù” davanti ad un televisore per vedere quei primi passi incerti compiuti da Armstrong e Aldrin sul misterioso satellite teatro di mille fantasie. E tutto questo fu possibile grazie al “mezzogiorno di fuoco” che il gruppo di temerari radioastronomi di Parkes, Australia, trascorse per permettere al mondo di avere il miglior segnale audio e video possibile.

Per ricevere le immagini che Armstrong, che in quell’avventurosa passeggiata manovrava la telecamera, era necessario che un’antenna abbastanza potente sulla Terra fosse in asse con la Luna. E secondo i calcoli, il miglior ricevitore che avrebbe potuto fare da “ponte” fra il satellite terrestre e i televisori del mondo era l’enorme parabola radioastronomica di Parkes. Un osservatorio con un “padellone” di 64 metri di diametro che il suo direttore John Bolton aveva progettato e poi costruito nel 1961. Ed è da lui, e da un suo viaggio negli Stati Uniti, che la nostra storia prende il via, con un passo indietro che ci riporta all’inverno del 1968.

“Il contatto fra la Nasa e l’osservatorio di Parkes è avvenuto negli Stati Uniti, durante un viaggio che John Bolton stava facendo nei laboratori del Cal Tech e del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California – ci racconta Ettore Carretti, radioastronomo italiano di stanza al “padellone” australiano -. Una sera Bolton venne invitato a una cena nella quale gli fecero una proposta a cui non poteva proprio dire di no. Si trattava di coinvolgere il suo telescopio nella ricezione dei dati e delle trasmissioni audio e video che il giorno dell’allunaggio dell’equipaggio dell’Apollo 11 avrebbe mandato sulla terra. Un lavoro di affiancamento alla stazione Nasa di Goldstone, in California, e all’antenna di Honeysuckle Creek in Australia, di solo 26 metri di diametro che sarebbe servita per inviare le immagini di Parkes ad Houston, in modo tale da avere una copertura totale della superficie terrestre. Inizialmente il ruolo di Parkes era secondario, una sorta di backup delle informazioni, soprattutto perchè era previsto che gli astronauti facesso la loro attività extraveicolare non appena atterrati, e quindi la luna sarebbe stata sotto l’orizzonte di Parkes e quindi invisibile agli strumenti. Poi pochi mesi prima del volo i piani cambiarono perchè gli esperti pensarono che fosse il caso che si prendessero un riposo di una decina di ore, dopo il volo che durava tre giorni pieni, prima di fare il moonwalk”.

Una novità che ribalta completamente le carte in tavola. La Luna a quel punto sarebbe stata invisibile a Goldstone, a cui sarebbe tramontata da una ventina di minuti, e quindi Parkes diventò l’antenna principale per la ricezione. “A questo punto – continua Ettore Carretti –, il secondo problema da risolvere era quello della qualità dell’immagine. Era impensabile, per quei tempi, che dalla Luna arrivasse un segnale che si potesse trasmettere nelle normali televisioni. Siccome l’ingegno umano non ha limiti, alla Nasa pensarono di mettere una telecamera standard davanti a un loro monitor che poteva ricevere il segnale di Armstrong e quindi quello che andò effettivamente in onda nel mondo furono le riprese di uno schermo chiuso in un laboratorio che trasmetteva le immagini ricevute dalla Luna”.

Sembrava tutto risolto, bastava soltanto aspettare che l’Apollo 11 sganciasse il modulo “Eagle” e che Armstrong e Aldrin facessero la loro passeggiata in diretta dal Mare della Tranquillità. Ma ovviamente, come tutte le storie che si rispettino, anche questa ha i suoi colpi di scena. “Quel giorno non andò proprio tutto liscio all’osservatorio di Parkes – ci racconta ancora Carretti -. Quando arrivarono sulla superficie lunare, ovviamente, di prendersi quelle famose dieci ore di riposo non avevano nessuna intenzione. Armstrong voleva uscire subito. Questo sconvolse i piani di trasmissione di Parkes: la Luna sarebbe sorta solo cinque ore dopo e sarebbe comunque entrata nello spazio visivo dell’osservatorio, che è di 30° rispetto all’orizzonte, troppo tardi. I due austronauti però ci misero un po’ di tempo per prepararsi all’uscita, fra indossare le tute e verificare che non ci fossero problemi agli impianti. Così la trasmissione televisiva sarebbe partita solo una decina di minuti prima dei fatidici 30° dell’occhio di Parkes. A Bolton allora venne un’idea: utilizzare un ricevitore fuori asse, presente sul “padellone” dell’osservatorio, che seppur meno sensibile di quello in asse, se posizionato nel punto giusto avrebbe permesso di ricevere i dati in tempo utile. La manovra di puntamento non fu proprio banale, senza computer e con la tecnologia del 1969, ma la cosa incredibile fu che Armstrong accese la sua telecamera nell’istante esatto in cui la Luna sorse nell’occhio di questo secondo ricevitore”. Un tempismo impressionante che fece fare a Parkes una figura strepitosa perchè permise ad Houston di ricevere le tre immagini, quelle di Goldstone e le due australiane, che erano previste nel programma di partenza. “Le cose curiose però non finiscono qui – prosegue nel racconto Carretti -. Le prime immagini che Houston decise di mandare in onda furono quelle di Goldstone. Solo che il tecnico che seguiva la codifica del segnale si sbagliò e mandò le immagini sottosopra. Questo spinse la regia a cambiare canale e ad andare sulle immagini di Honeysuckle, che però erano decisamente di bassa qualità. Questo perchè non pensavano che la Luna fosse sorta a Parkes e non erano stati avvisati dell’idea di Bolton. Quando Armstrong mise piede sulla Luna, due minuti dopo il collegamento con la Terra, le immagini in diretta mondiale erano dell’antenna piccola. Quindi gli americani decisero di provare di nuovo con l’antenna di Goldstone. Questa volta l’immagine risultò negativa così tentarono l’ultima spiaggia e passarono su Parkes, le cui immagini erano talmente buone rispetto alle altre due che per le restanti 2 ore e mezza la diretta fu seguita da qui”.

Alla fine, insomma, sembra che le cose si siano sistemate. D’altro canto è noto che il mondo godette della passeggiata lunare dei due austronauti americani in tutta la sua grandezza e splendore. Le cose però a Parkes continuarono a non essere semplicissime. Ma se non fosse stato così, il divertimento sarebbe già finito. “Quel giorno, era più o meno l’ora di pranzo, dopo settimane di tempo perfetto e giornate assolate, a Parkes venne il diluvio universale – continua a raccontare Ettore Carretti -. Mentre aspettavano le immagini, con la parabola già puntata sulla Luna, cominciò a tirare il vento con raffiche fino a 110km orari e con forze che insistevano sul telescopio di circa 10 volte superiori ai limiti di sicurezza della struttura. I racconti dicono che nella torre, che è sistemata sotto il telescopio, si sentivano dei cigolii e dei tremori terrificanti. Fu proprio solo grazie alla testardaggine di Bolton, che conosceva il telescopio come le sue tasche, che le immagini arrivarono così nitide agli spettatori”. E visto che il telescopio, che quando fu costruito nel 1961 era il più grande al mondo completamente orientabile, era previsto che potesse durare una ventina d’anni, possiamo ben dire che il lavoro di Bolton e dei suoi collaboratori fu proprio perfetto.

E grazie al patto di sangue fra la Luna e Parkes, quel grande passo dell’umanità fu visto “bene” da tutto il mondo.

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