Obiettori di coscienza: dagli Usa al Canada… e ritorno

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Questo pezzo fu pubblicato il 28 ottobre 2008, su sabatoseraonline.it, e mi fu ispirato da un lancio news della Bbc, in cui si raccontava il destino di alcuni soldati americani costretti a fare ritorno in patria dopo essere “fuggiti” in Canada come obiettori di coscienza. Dopo qualche giorno riuscii a parlare con il responsabile della War Resister Support Campaign, Lee Zaslofsky, con cui in seguito intrattenni un breve giro di e-mail in cui mi feci raccontare per bene come stavano le cose. Alcuni link li ho “sganciati” perché i nomi a cui rimandavano, non sono più sul web. Cercherò di saperne di più e vi terrò informati.

 

soldatoRobin Long, Patrick Hart e Matt Lowell sono tre soldati americani che, per motivi di obiezione di coscienza, hanno cercato rifugio in Canada per evitare di finire nella guerra in Iraq. Sono i primi tre dei circa duecento “disertori” che il Canada ha deciso di rimandare a casa loro, in modo che possano affrontare l’ira dell’esercito e la corte marziale. “La pena per i ragazzi che vengono rimandati indietro può essere di cinque anni di carcere e la segnalazione sulla fedina penale”. Chi ci chiarisce la situazione è Lee Zaslofsky, coordinatore della War Resisters Support Campaign. Lee è uno che di queste cose se ne intende parecchio, visto che ha vissuto sulla propria pelle, nel 1970, la fuga da casa verso il nord per non dover andare in guerra.

Durante la guerra in Vietnam, infatti, il Canada diventò il porto sicuro per circa 55.000 americani che avevano deciso di stracciare la cartolina di precetto per non farsi reclutare e andare a morire nelle risaie Vietcong. “Ai nostri tempi il Canada ci offriva un riparo sicuro. Oggi le cose sono molto diverse. La differenza più grossa è che ora c’è un governo conservatore che non è favorevole alla resistenza contro la guerra. Quando toccò alla mia generazione, invece, il governo di Pierre Trudeau era davvero più amichevole. Fortunatamente la popolazione canadese non ha cambiato atteggiamento. Oggi come allora accoglie volentieri i Resistenti e nel giugno scorso il Parlamento ha votato per permettere loro di restare in Canada. Il governo, però, ha ignorato questa votazione”. Così per i circa duecento militari americani che hanno deciso di obiettare contro la guerra in Iraq, e hanno cercato rifugio nel paese degli aceri, sembrano non esserci grosse possibilità di restare per farsi una nuova vita. “Molti di quelli che sono arrivati qui – continua Zaslofsky -, vivono da clandestini. Una cinquantina di loro si sono messi in contatto con la nostra organizzazione e hanno chiesto lo stato di rifugiato. Nessuno di loro, per il momento, è riuscito ad ottenerlo”. Questo perché i giudici che devono decidere sulla loro sorte non pensano che ci sia un reale pericolo per le loro vite una volta che vengono rimandati negli Stati Uniti.

“Per ora comunque – ci dice Zaslofsky -, l’unico ad essere stato espulso dal Canada, dal 2004 anno in cui la WRSC ha cominciato le proprie attività, è stato Robin Long”. L’obiettore Long adesso è in un carcere militare vicino a San Diego. Ha preso 15 mesi di reclusione ed è stato congedato con disonore. Una faccenda che lo segnerà per tutta la vita come un criminale anche se, a leggere quanto ha scritto nella lettera dal carcere, la cosa peggiore che ha provato è la disillusione di una speranza negata da un governo che credeva amico. “Mi sono sentito strappato via da casa, dagli amici e dalla famiglia – ha scritto Long il 21 settembre dal carcere, a Courage to Resist –. Mi sento come se fossi un oggetto di scambio, un regalo di un regime, quello di Harper, a un altro, quello di Bush”.

A difesa di queste decisioni, i giudici che respingono al mittente la richiesta di rifugio in Canada dicono che mentre un tempo i ragazzi erano reclutati in modo coatto dallo Stato, oggi decidono autonomamente di entrare nell’esercito. L’esperienza di Robin Long è un esempio lampante di quanto in questo ragionamento ci siano delle falle. Prima di marzo del 2005, Robin era il classico risultato della politica di guerra degli Stati Uniti. Nato a Boise, la capitale dell’Idaho, in una famiglia di militari, il giovane Long entra nell’esercito nel 2003, convinto che sia la scelta giusta per servire al meglio il proprio paese. Il suo reclutatore gli disse che non sarebbe mai stato spedito lontano da Fort Knox. Nel marzo del 2005, invece, il soldato Long riceve l’ordine di raggiungere l’unità 2-2 IN di stanza in Iraq dove, come scopre qualche giorno prima di partire, si compiono delitti assurdi ai danni di civili e bambini. A giugno il soldato Robin Long diventa un disertore e, a piedi e in autostop, raggiunge il Canada, sperando di trovare un paese disposto, come era accaduto in passato, ad accoglierlo come obiettore di coscienza e a dargli una nuova possibilità di vita. Un’illusione molto presto demolita dalla realtà.

“Molti di questi ragazzi entrano nell’esercito per trovare un lavoro, assistenza medica e un accesso all’Università – continua Zaslofksy -. Per queste persone lasciare le armi diventa molto più di una scelta contro la guerra. Si tratta di perdere importanti benefici sociali per loro e per le proprie famiglie. Molti lascerebbero l’esercito ma non hanno alternative nella povertà della vita da civili”. E così, o tengono la divisa col rischio di finire in Iraq a combattere la guerra di Bush o scappano verso nazioni disposte ad accoglierli, come accadeva negli anni a cavallo della guerra in Vietnam. Nazioni che oggi però hanno deciso di rispedirli al mittente, verso la prigione e la condanna sociale. “Credo che i giovani militari, donne e uomini, che hanno deciso di non partecipare alla guerra in Iraq – conclude Lee Zaslofsky -, stiano dando il miglior esempio possibile ai soldati delle altre nazioni. Giovani come loro che hanno ricevuto l’ordine di partecipare a guerre aggressive basate sulle bugie e sulla falsa propaganda. Se più soldati disertassero i capi delle nazioni dovrebbero stare molto più attenti a fare scelte guerrafondaie. Anni fa molte nazioni abolirono la schiavitù in parte perché gli schiavi cominciarono battaglie di resistenza. Spero che nel futuro i soldati giochino un ruolo importante nell’obiezione di coscienza alla guerra come modo per risolvere i conflitti. E che questo porti alla fine dei conflitti”. Speranza che condividiamo. Anche con Robin Long, che per ora, grazie al tam-tam della rete, sta ricevendo un sacco di contatti d’amicizia. A prescindere dal fatto che l’esercito lo consideri, o meno, un criminale. “Ricevo molte di lettere di supporto – scrive Long nella lettera dal carcere -. Siamo forti”. Per gli altri due obiettori americani su cui la Corte Federale ha emesso sentenza il destino sarà simile a quello di Long. Patrick Hart, che in Iraq ha combattuto per undici mesi ed è fuggito in Canada nell’agosto del 2005, dovrà rientrare negli Stati Uniti con la propria famiglia il 30 ottobre. Per Matt Lowell, in Canada dal novembre del 2005 dopo una fuga dalla base militare in cui era stato destinato, la data di rientro è il 27 ottobre. Toccherà poi alla corte marziale decidere del loro immediato futuro.

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