A far due tiri nel “brown” del Kabul Golf Club

Un'immagine del campo da golf di Kabul, Afghanistan

L’articolo fu pubblicato, la prima volta, il 10 giugno 2008 su sabatoseraonline.it. Telefonai, grazie a skype, al gestore del golf club e facemmo una lunga, e un tantino surreale, conversazione. Non ricordo il nome della persona con cui parlai, non ricordo neppure ogni cosa che ci dicemmo (sebbene ricordi ancora il caos di quella telefonata, che cadeva ogni tanto). Quello che mi ricordo è in questo articolo, troppo breve per restituire la voce di quel signore, i rumori che si sentivano dietro le sue parole (un gran caos, un motore, bambini) e l’energia che ci metteva in quell’incredibile mestiere. Che per lui era una vera e propria missione. Purtroppo il tempo, la vita e le scelte degli uomini, non sono stati clementi con il Golf Club di Kabul, in Afghanistan. Nel 2012 i taliban, si legge nella cronologia del nuovo sito, hanno provocato oltre 20 morti in un attacco a Qargha e il fratello di Abdul (lo conoscerete leggendo il pezzo) è stato ucciso. Nel 2014 hanno deciso di riprendere le attività, perché sono persone con una missione. Quella di gestire, con la leggerezza che contraddistingue i saggi, il campo da golf più estremo del mondo (secondo il sito di bloomberg tv). Come dicono loro: l’erba è verde… aspettiamo solo che la guerra finisca.

Un'immagine del campo da golf di Kabul, AfghanistanA guardare le fotografie che si trovano sul sito del Kabul Golf Club c’è quasi da non crederci. Di solito i campi da golf sono oasi verdi, con laghetti a creare qualche difficoltà ai giocatori meno esperti e alberi sotto cui prendere un po’ di frescura se la giornata è molto assolata.

Il campo del Golf Club, che sorge ad una decina di chilometri dall’Hotel InterContinental di Kabul, invece, si fa vanto di offrire ai propri giocatori una giornata di “Golf estremo”. Quello che per altri sarebbe un handicap insormontabile loro lo hanno trasformato in una caratteristica unica al mondo.

Nel migliore, e per ora unico, posto in cui giocare a golf in Afghanistan, il “green”, dato che l’erba non c’è, diventa il “brown” e il giocatore è chiamato a mettere alla prova la sua bravura in un tracciato desertico. Scarpe comode per non scivolare salendo le colline pietrose, pantaloni lunghi per proteggersi dalle piante spinose del deserto, acqua da portarsi in bottiglia per non finire disidratati lungo il percorso sono alcuni dei consigli che i gestori del posto danno a chi ha intenzione di trascorrere una giornata sul loro campo. A guardare il sito, l’atteggiamento è quello giusto. “Il Kabul Golf Club metterà alla prova le vostre capacità con sabbia che si infila dappertutto, polvere, piante e selvaggina di tutti i tipi”, si legge nella pagina di presentazione del percorso. Giusto per gradire, ed aumentare così l’idea di essere capitati nel più grande e complicato percorso di “mini-golf” del mondo, ci sono una serie infinita di tecniche speciali grazie alle quali confrontarsi con questa specie di campo di guerra diventa un po’ più semplice. E “campo di guerra” non è certo un termine esagerato, per descrivere questo “green” così anomalo. Nato nel 1967 il Golf Club Kabul contava 400 membri effettivi ed era un centro di ritrovo per diplomatici e stranieri che potevano riunirsi nella Club House. Il campo fu chiuso dai russi nel 1978, dopo che l’esercito dell’URSS ebbe conquistato l’Afghanistan. Prima di quei giorni, in quella che era davvero un’oasi nel deserto, giocava Muhammad Afzal Abdul, campione afgano che si presentava ai tornei con un bello zero di handicap. Il campo era verde, con bellissimi prati e numerose difficoltà acquatiche come ruscelli e laghetti. Afzal Abdul, oggi, accoglie e accompagna i giocatori che vogliono passare un po’ di tempo tranquilli mentre sono a Kabul, ma fino al 2004, anno della riapertura del campo, non ha di certo passato momenti felici. Siccome ai talebani, una volta ripreso il controllo della regione, lo sport in generale piaceva poco, hanno deciso che il golf club poteva rimanere tranquillamente chiuso e, per sicurezza hanno minato i green e costruito un bunker alla buca otto per sparare all’esercito sovietico, così che a nessuno venisse in mente di dare una annaffiata e una rasata a quella poca erba che doveva essere rimasta. Inoltre, giusto per chiarire la questione, una notte hanno rapito Abdul e lo hanno riempito di botte in modo che smettesse di pensare al suo gioco preferito. Alla riapertura, avvenuta ufficialmente il 23 aprile del 2004, i proprietari del Golf Club Kabul si sono dovuti arrangiare con quello che restava del passaggio dei Russi prima e dei talebani poi. La Club House era rimasta senza muri, il percorso era diventato un campo minato, pieno di bombe inesplose, cannoni e carri armati lasciati dagli eserciti a far bella mostra di sé. Chiaramente le finestre della sala ristorante erano rimaste senza vetri e l’impressione generale avrebbe demoralizzato anche il più accanito giocatore di golf in crisi d’astinenza. Invece gli afgani sono un popolo tenace e dopo aver spostato tre carriarmati russi a cui i talebani avevano dato fuoco bloccando il tee della buca 6, e un lanciamissili che ostruiva il passaggio, sono riusciti a far ripartire il campo. Da quel giorno il “brown” afgano, oltre ad offrire l’esperienza di lanciare la prima pallina della giornata dall’alto di una collina che guarda la valle in cui sorge il Golf Club, dà l’occasione di potersi destreggiare con colpi impossibili fra residui bellici, “green” marroni creati compattando petrolio e sabbia e resi poi lisci in modo da far scorrere bene la pallina e intasi automobilistici creati dalla curiosità degli afgani che si fermano a guardare qualche colpo fermando il traffico sulla strada che corre a fianco del percorso.

“Attaccate il percorso! Giocate aggressivamente”, suggeriscono le istruzioni del Club. Guardando le foto, vien proprio voglia di crederci.

 

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